Almeno ho una fortuna: per una settimana la Vegliarda è in ferie. La Vegliarda è una mia collega (se così si può definire, visto che i colleghi in genere fanno lo stesso lavoro, mentre noi siamo semplicemente a libro paga della stessa azienda) che ha circa 100 anni, che però non sono sufficienti per andare in pensione, che non fa una beneamata minchia, e quando si decide a fare qualcosa fa casini che poi io devo risolvere. E fin qui, festa. Ma è una persona anche cattiva, una di quelle permalose che devi trattare coi guanti gialli se non vuoi che ti spari una freccia avvelenata dritta al cuore con quella sua linguaccia biforcuta, una di quelle che viene a rubarsi i cioccolatini e le caramelle che portiamo tutti ma non ne offre mai pur avendone il cassetto pieno. Ha fatto piangere altre colleghe. E anche fin qua, festa, che quando succedono queste cose davvero mi viene da ridere e penso: ‘e poi la sfigata sarei io?’. Ma come si fa a piangere quando uno stronzo proclamato ti urla contro? Io alla peggio divento una iena, se invece sono ispirata mi diverto a fare incazzare di più chi ho davanti.
Tralasciamo anche il fatto che pretende che io, che sono perennemente sommersa da cose che si devono fare ‘entro subito’, lasci seduta stante quello che sto facendo per aiutarla a fare qualcosa come sistemarle la posta elettronica.
Ma la cosa che veramente mi da sui nervi è che si ostina a parlarmi quando è palese che non ho alcuna voglia di fare conversazione. Io adoro la pausa pranzo, perché se anche lei ha la buona grazia di levarsi dai coglioni andando a mangiare non so dove, sono sola e l’ufficio è il mio regno. Metto musica a tutto volume e ballo, canto, o semplicemente mi leggo il giornale o faccio un po’ di lavoro che mi piace. Insomma voglio essere lasciata in pace. Ma lei ultimamente ha preso l’abitudine di farmi compagnia e si mette lì e mi parla anche se ho un cerotto in bocca e un cartello con la scritta lampeggiante ‘CHIUSO’. O peggio, infinitamente peggio, mi viene dietro e guarda quello che faccio (giustamente non avendo un cazzo che fare, si adegua all’uso siculo: uno lavora e dieci guardano), sempre con qualche cioccolatino/caramella in bocca che mastica rumorosamente, e se c’è una cosa per cui giuro che potrei uccidere, è proprio sentire il rumore del masticare. E’ una cosa che detesto e mi fa andare su tutte le furie, è per me come per il toro il rosso. Proprio non ci vedo più.
Finalmente domani potrò passarmi il piacere di aprirle i cassetti e fare razzia, e mi approprierò di: agenda coi numeri di telefono dei clienti che la vecchia bastarda custodisce gelosamente senza cederla a nessuno; pennarello nero; evidenziatore; scotch; Mon chéri, che a me manco piacciono ma glieli frego giusto per il gusto di.